Quando Barbara trova una vecchia lattina sugli scalini di casa non può certo immaginare che tutto il suo mondo sta per cambiare.
Prima la sua vita era quella – costellata di piccoli guai e disavventure – di una persona qualsiasi non particolarmente fortunata.
Adesso invece sarà una vita piena di guai grossi, pasticci a livello planetario e pericoli di cui non aveva nemmeno immaginato l’esistenza.
Estratti
ESTRATTO DAL CAPITOLO 1
Piove a cascate del Niagara e non ho l’ombrello.
Organizzazione, il tuo nome è Barbara.
Naturalmente ho anche due borse della spesa per mano, cosicché l’ombrello lo dovrei tenere con anulare e mignolo.
E in più c’è il guinzaglio di Cookie. Quando arriviamo a casa e si scuote sarà lo stesso che essermi infilata in mezzo alle spazzole dell’autolavaggio.
Le dita mi si sono ingranchite perché se le lascio andare anche di poco, le borse mi cadono per terra, anzi per acqua, peggio di un gavettone.
Ecco, tra pochi metri c’è il grande fossato – ora lago di origine pluviale. Appena sono a portata di tiro, sicuro che passa un bel pullman o camion per colpire in pieno il pozzangherone e completare il lavoro. Ho appunto sulla destra un centimetro quadrato di giacca che non è ancora fradicio.
O forse ci penserà Cookie a tuffarcisi nel bel mezzo. La sua attrazione per l’acqua fangosa è almeno pari all’odio per quella pulita e profumata.
Di Max nessuna traccia.
Sì, lo so che a questo punto chiunque mi dirà “te l’avevo detto”, e che avrà tutta la ragione.
A chiamare Katia non ci penso nemmeno, per esempio.
Per lei Max è peggio di un parassita – il Verme Solitario. Non ne posso più di sentirglielo chiamare così. Solo che invece del cibo ti prosciuga i sentimenti, eccetera.
Che fantasia.
Per te è facile parlare così, le ho sempre detto. Ma io non avevo mai incontrato uno come lui, uno che avesse tutto, davvero tutto. E nonostante questo si interessasse a me.
Ha tutto? Peccato che gli manca la cosa più importante, le sento dire. Si interessa a te? Ecco, su questo avrei qualche piccolo dubbio.
La sua voce si è insinuata nei miei pensieri. E ormai discuto con lei anche telepaticamente.
Tra una battuta e l’altra del mio litigio immaginario sono passata oltre il portone di casa mia, che pure si distingue sempre con quei ridicoli tre scalini. Torno indietro.
Ora devo soltanto aprire la borsa, senza possibilmente inzupparne tutto il contenuto, tirare fuori le chiavi e precipitarmi dentro.
C’è una lattina sporca e ammaccata, proprio sopra le scale.
Ci risiamo, con la spazzatura davanti all’ingresso?
Mi fermo e tiro fuori le chiavi che puntualmente mi cadono a terra – giusto accanto alla lattina.
Le raccolgo e do un calcio a quell’affare, che rotola giù.
No, aspetta un attimo.
La lattina è rotolata su.
Ma che razza di calcio le ho dato?
Ma d’altronde – con il Niagara che mi circonda da ogni lato la mia visibilità non credo possa superare il metro. E ho la mente annebbiata da furiose discussioni immaginarie con Katia, in cui si intromettono i ricordi di litigi reali con Max.
Non si può certo dire che quello che credo di vedere sia affidabile.
Apro la porta e mi infilo dentro, sbattendo a terra tutto. Una doccia calda non me la toglie nessuno.
Vado verso il bagno buttando a terra la giacca tutta inzuppata. Cookie ci si scuote sopra.
Lancio via anche le scarpe.
Una, cadendo, fa un rumore metallico.
Mi giro. La lattina a quanto pare è rotolata dentro casa assieme a me. Cookie è già lì, e la sta annusando.
Eh no, ora basta. Ogni gioco è bello finché dura poco, e questo scherzo cretino è proprio l’ultima cosa che mi mancava.
So chi potrebbe essere stato. Quel deficiente di Matteo – o Mattia – al piano di sopra. Uno di quei ragazzini che vivono di videogiochi e respirano solo se connessi a Internet, chiusi in camera assieme ad altri esemplari come loro.
Evidentemente non gli basta di attraversare i firewall come fossero di burro per animare a distanza le stampanti della gente e altri simili passatempi da hacker disadattati. So che poi costruiscono congegni di tutti i tipi, e hanno stanze che sembrano il classico laboratorio dello scienziato pazzo.
Ma ora mi sentono. Qualsiasi trucco abbiano escogitato, se credono di spaventarmi con una lattina sbilanciata sono caduti male. Non è proprio la serata giusta.
Raccolgo quel ridicolo rottame e lo guardo. Dal peso, direi che è vuota.
Eppure sembra ermeticamente chiusa. È un’aranciata di una marca che non si capisce, macchiata come se fosse lì da un secolo.
La scuoto. Niente, è proprio vuota. Forse, anzi sicuramente, è una finta lattina.
Magari adesso esplode. Petardi azionati a distanza?
Basta, devo smetterla o divento paranoica. Allora, non devo far altro che ributtarla fuori, no?
Ma non adesso, non gli darò questa soddisfazione.
Vediamola meglio – cerchiamo almeno di capire cosa c’è scritto. Prendo da terra lo straccio e glielo passo sopra.
Il coperchio luccica, non me n’ero accorta prima.
Ehi, ma si è aperta. E c’è qualcosa che brilla dentro. Come ha fatto ad aprirsi?
La lattina fa un salto e un fumo azzurrino viene fuori.
Faccio un salto a mia volta e la lascio cadere. Cookie abbaia spaventata.
Lo dicevo, io! Cos’è, Carnevale? Avete stampato in 3D una bomba dei poveri? Una lattina a orologeria?
Il fumo non è normale, è luminoso.
Sapete fare le cose in grande, bravi.
Ma non è neanche fumo, è piuttosto – una nebbia brillante. E prende una forma umana. Un ologramma?
Cookie corre verso di me, la coda tra le zampe.
No, è assurdo. Neanche quegli scemi sarebbero capaci di tanto.
Qualche nuova trovata pubblicitaria? Se è così, denuncio chi ha prodotto questa cosiddetta aranciata anche a costo di rimetterci fino all’ultimo centesimo. Anche se non so chi dovrei denunciare visto che il nome è illeggibile.
Nel frattempo, è comparso un tizio sul mio tappeto.
È proprio un uomo, seduto a gambe incrociate. Dove prima c’era l’ologramma.
Ha un turbante giallo ed è vestito con una giacchetta rossa e pantaloni a braghe larghe. Sembra un incrocio tra quei maghi delle televendite e un fachiro hollywoodiano – orientale quanto me.
Proprio kitsch.
Comunque non è un ologramma. Il turbante asimmetrico e i riccioli in disordine lo rendono in qualche modo reale. Il tappeto è anche stropicciato.
Non ho bevuto niente. E non sono nemmeno scivolata per strada battendo la testa. Me lo ricorderei – o forse è proprio questo che ho dimenticato?
Il tizio si alza e io faccio un altro passo indietro, andando a sbattere contro il frigorifero.
“C–chi saresti e che c–cosa…?” balbetto come un’idiota.
Avrei voluto tirar fuori una voce piena di rabbia e cacciarlo fuori a pedate, tirandogli la lattina in testa. Ma sono con i piedi inchiodati a terra e paralizzata. E Cookie si è nascosta dietro di me, poverina.
Il tizio sorride. Denti bianchi che spiccano su un’abbronzatura sfacciata. Ha proprio l’aspetto del figlio di papà deficiente.
Vuole vendermi qualcosa, no? È la cosa più probabile.
Mi avvicino. Cookie è ancora dietro di me.
“Allora? Chi saresti e cosa faresti qui?”chiedo. Stavolta la mia voce è uscita niente male.
“Alisdair. Almeno di solito.”
“Cosa?”
“Alisdair. È un nome normale, no? Puoi anche chiamarmi Alis.”
“Ma chi sei? Che cosa vuoi?”
Fa un altro sorriso smagliante. “Sono della ACM. Associazione Creature Magiche. Ogni tuo desiderio è un ordine, come posso aiutarti?”
“Cosa significa?”
“Sono un GPP.”
Mi è capitato di tutto, oggi. Ci mancava il tizio venuto a pubblicizzare chissà cosa.
Sospira e mi guarda come se la demente fossi io.“Genio con Prospettive di Promozione.”
“Adesso basta davvero. Torna dai tuoi ridicoli amici”, tiro fuori, finalmente con voce chiara e controllata. “E portati dietro questa.”
Raccolgo la lattina per lanciargliela addosso.
“Ehi, ferma!”
Il suo braccio ha incrociato il mio, la sua mano afferra la lattina appena in tempo.
“Questa qui è mia.” dice. “Sono piuttosto sensibile, su questo punto.”
Ma come ha fatto a spuntare da dietro? È magico davvero? Se crede di impressionarmi con questi trucchi da quattro soldi ha sbagliato persona.
“Sai, lo so che in effetti la consideri tua. Ed è anche giusto, visto che l’hai trovata tu.” aggiunge, come se davvero mi interessasse quella cosa arrugginita. “Ma devi capire che per me questa è casa.”
“Puoi tenertela.” rispondo. “E a proposito, quella è la porta.”
“Ma…”
“Qualunque cosa pensassi di rifilarmi, sono un po’ più furba di quello che credi. Quindi, sparisci, se non vuoi che chiami la polizia.”
Mi guarda e scoppia a ridere.
“Vorrei proprio che ci provassi. Ti faresti rinchiudere in un reparto dell’ospedale non tanto carino.”
“Di che parli?”
“Se voglio, posso rendermi visibile solo a te, capisci.”
“Insomma, che vuoi da me?”
Stavolta mi guarda a bocca aperta.
“Allora non hai capito chi sono? Non c’è altra spiegazione.”
Sospiro. “Avanti. Sto aspettando.”
“Sono un genio.”
“Ma guarda.”
“È la verità. Non hai forse strofinato la lattina?”
“Sì. Ma…”
“Ed eccomi qui”.
Anche lo squilibrato che si introduce a casa mia – con tante altre che ce n’erano!
“Una spiegazione davvero esauriente.”
Alza gli occhi al cielo. “Non ti sei resa conto dei miei poteri?”
“Se ti riferisci al far saltellare una lattina telecomandata, ti avverto che sarà dura per te ottenere il brevetto di una roba simile. Quanto alle lucine e al fumo, anche qui sei un po’ in ritardo.”
“Vuoi forse dirmi che non credi alla magia?”
“Esatto”. Sorrido. “E forse, in quel famoso reparto da cui sei scappato ti stanno cercando disperatamente.”
“Assurdo. Esprimi un desiderio.”
Forse dovrei semplicemente ignorarlo. Prendo lo straccio per asciugare il pavimento.
“Uno qualunque.”
“Che tu te ne vada?”
“Non posso. Sarebbe un paradosso, no? Un po’ come quello del nonno.”
“Ma di che stai parlando?”
“Se fossi la causa della mia stessa sparizione, come farei a farmi sparire?”
Sospiro. “Senti, se proprio vuoi aiutarmi, asciuga questo pavimento. E in silenzio.”
Aristotele o Asterix – o come accidenti si chiama – mi strizza un occhio e schiocca le dita.
Gli occhi riflettono una luce dorata. Indica il pavimento. Che c’è da guardare?
No. Non è possibile.
Il pavimento non è solo asciutto, è pulito. Le mattonelle sono lucide. Ci manca solo che compaia una stellina come nelle pubblicità dei detersivi.
Il tappeto è verde brillante e arancione – non più verde marcio e giallino sbiadito com’era diventato. Ha gli stessi colori di quando era nuovo.
“Come – come cavolo avresti fatto?”
“Magia. Sei dura di comprendonio, vedo.”
Se questo è un sogno, sta diventando decisamente piacevole. Tanto vale approfittarne, no?
“Cosa dovrei fare?” chiedo.
“Come?”
“Dov’è il trucco. La fregatura. Insomma, quanto devo pagare?”
“Pensavo che fosse chiaro. Voi umani non avete poteri magici. D’altronde, noi geni possiamo vivere solo in… diciamo in simbiosi con gli umani.”
“Simbiosi?”
“Io aiuto te, tu aiuti me. Un accordo che dà benefici a entrambi.”
“In che modo?”
“Tu mi accogli in casa e mi permetti di rimanere nella tua realtà. Non ti chiedo troppo, giusto? In cambio io esaudisco tutti i tuoi desideri. E così avanzo di grado. Passo da genio in prospettiva a genio di ruolo, e acquisto ancora più poteri e prestigio nella mia società. Bello, no?”
“Sei del tutto fuori di testa.”
“Be’, nemmeno tu scherzi.”
“Comunque mi va bene.” aggiungo. “Se è tutto qui.” Sono davvero impazzita? Ma d’altronde, se è un sogno, cos’ho da perdere?
“Benissimo. Passiamo alla parte legale, allora. Una firma.”
Ehi, andiamoci piano. Ho imparato che prima di firmare qualsiasi cosa, si dovrebbe analizzare il foglio di carta a livello molecolare.
Mi porge la lattina e un pennarello, materializzatosi chissà come.
“Qui? Sulla lattina?”
“Voi umani firmate anche sulle gambe rotte.”
“Ma…”
“Mi basta un semplice segno. Anche un puntino.”
“Se è così… d’accordo.”
Matto da legare.
Dove ho appoggiato il pennarello si è fatto un solco. Un solco luminoso.
Lascio andare la lattina, e lui la prende al volo. “Stai attenta con questa, ti dico.”
Il mio nome lampeggia sulla superficie metallica. E scompare.
“Non ti preoccupare, è stato memorizzato.”
“Era l’ultima delle mie preoccupazioni.”
Prende la lattina, apre la vetrinetta dove tengo solo i servizi migliori, e la sistema su uno scaffale là dentro. Che faccia tosta.
“Fai pure come se fossi a casa tua.” gli dico.
“Grazie. È proprio quello che farò.” Sorride. “Dopotutto, hai appena acconsentito di ospitarmi per un anno solare.”
Ma come ho fatto a infilarmi in questo pasticcio?
Fa un passo indietro. “La nostra collaborazione ha inizio in questo momento.”
La lattina lampeggia dietro il vetro. Cosa c’è, anche la videocamera incorporata? La luce si riflette sui suoi occhi. O forse lampeggiano anche loro.
Fa un inchino e dice: “Ogni tuo desiderio è un ordine, padrona.”
Dovrei rispondere qualcosa – tanto per essere gentile?
“Chiamami Barbie.”
“Non le somigli neanche di striscio.”
Mi ritrovo catapultata alle elementari, quando mi chiamavano Macchiatutto per via delle mie lentiggini.
Lo guardo fisso, ma lui è girato verso la finestra. Credo che la mia occhiata fulminante sia andata sprecata.
“Padrona andrà più che bene.” rispondo.
ESTRATTO DAL CAPITOLO 2
“Senti, Aladino o come cavolo ti chiami…”
“Alisdair. Ma chiamami Alis – per te sarà senz’altro più facile”.
“Non credi che avresti dovuto essere sincero?”
“Cioè?”
“Se avevi bisogno di una camera in affitto a credito per un anno, ne avremmo potuto parlare.
Il sorriso del genio si allarga. “Non ho bisogno di camere, io”.
Si gira a indicare la lattina.
“A proposito, credo che ti convenga rispondere”, aggiunge con un sorrisetto.
Una melodia di intensità crescente.
È il telefono.
Torno alla realtà.
Qualcosa mi dice che era da un po’ che stava suonando.
Certo, ero distratta. Ma è anche vero che sono stata un po’ occupata, tra spettacoli pirotecnici a base di lattine magiche e gente esaltata che compare dal nulla, per cui mi si può anche perdonare.
Afferro il cordless appena in tempo.
“Sì!”
“Ma che voce hai?”
È Max.
“Che voce dovrei avere, dopo che sono dovuta tornare a piedi sotto una vera e propria bomba d’acqua?”
“Oh! Io…”
Entra in modalità di emergenza. Vediamo che scusa assurda tirerà fuori. Tanto, ci dovrei cascare sempre.
“C’è stato un… un imprevisto. Non immaginerai mai cosa è successo.”
Ottima frase-jolly, devo ammetterlo. Soprattutto se si sta inventando in tempo reale.
“Irene – te la ricordi, Irene?”
“Come no.” Purtroppo. Quella specie di modella per la quale non hai il minimo interesse.
“Ha avuto un problema con la macchina. A momenti le si fondeva il motore.”
“Ma pensa.”
“L’ho dovuta accompagnare io, perché ha la nonna malata a casa.”
“Non sapevo che sua nonna fosse malata.”
“Eh, sì. E i suoi sono via, capisci.”
Altra spiegazione non richiesta.
“Poverina.”
“Eh, già.”
“Sei stato proprio carino, ad occuparti così di lei.”
“Grazie, tesoro.”
“Ma sai qual è il problema?”
“Come?”
“Oltre al fatto che mi sono inzuppata fino al midollo delle ossa aspettandoti come un’imbecille, intendo. E che non mi hai mandato nemmeno un miserabile messaggio con su scritto ‘emergenza – rimando tutto’.”
“Io… in realtà stavo per chiamarti, ma… davvero, non immaginerai mai cos’altro è successo.”
“Credo di riuscire ad immaginarlo da sola, quello che è successo.”
Sospiro. Occorre informarlo di qualcosa di fondamentale.
“Max, non sono stupida fino a questo punto.” Non riconosco la mia stessa voce, tanto è tranquilla. “Il tuo problema è che non sei mai stato bravo a dire bugie. Ma non perché sei onesto, capisci. Il fatto è che non ne hai mai avuto bisogno, circondato come sei di adoratrici sceme che non vedono l’ora di perdonarti.”
“Io…”
“Smettila. Abbi almeno la decenza di stare zitto, no? Sei uscito con Irene, o siete andati a casa sua – non ha importanza – e hai anche la faccia tosta di dirmelo. Ma costruendoci sopra una storia che più ridicola di così non te la potevi inventare. Non merito nemmeno una scusa per persone intelligenti, io?”
Sto urlando, davanti a quello sfacciato di Alis che mi guarda con un mezzo sorriso. E non me ne importa niente.
“Ma cara, era la verità.”
“Basta”. Questa è davvero l’ultima goccia. “Sai cosa vorrei, ora come ora? Vorrei non averti mai conosciuto. Anzi, vorrei che Irene non ti avesse mai conosciuto: mi fa pena anche lei, capisci. Perché se ne dovrà pentire, sai, proprio come me ne sto pentendo io!”
Mi sento bruciare. Sto respirando a fatica.
“Vorrei che sparissi dalla mia vita. Vorrei che non fossi mai esistito!”
Il telefono dà il segnale di libero. Ha anche messo giù? Forse è caduta la linea.
Mi guardo intorno. Se prima mi sentivo bruciare, ora c’è un gelo che mi penetra fino alle ossa. Ho ancora i vestiti bagnati che mi si appiccicano addosso, ma non è la prima volta che mi inzuppo sotto la pioggia.
È qualcosa di diverso.
Prendo il cellulare. Vado alla lista delle chiamate recenti – ritroverò la mia decina di chiamate verso Max, tutte fallite.
Non ce n’è neanche una.
Scorro fino a ieri. Ale, Monica della palestra, Katia, Katia, Giò, Katia.
Niente.
L’altro ieri.
Niente.
Come avrebbe fatto a…
No, assurdo. Non è esattamente un esperto. Non è nemmeno uno smanettone. Troppa fatica, immagino.
Che significa?
Quella specie di genio di seconda classe è ancora lì che mi fissa.
“Al… ehm… Alis”.
“Sì?”
“Sei stato tu a cancellare le chiamate dal mio cellulare?” chiedo. “Fa parte delle tue operazioni magiche di pulizia?”
“Di cosa stai parlando? Certo che no.”
“Ma…”
“Magari ti si è guastato.” Sorride. “La vostra patetica tecnologia non potrà mai stare alla pari con i nostri poteri.”
“Allora fai qualcosa!”
“E che cosa?”
“Non vedi che ho un problema?”
Mi guarda come farebbe una maestra con l’ultimo della classe. “Se tu non formuli un desiderio preciso, io non posso farci niente.”
Respiro profondamente. Indico il cellulare. “Fai ricomparire le chiamate che mi si sono cancellate.”
Prende il cellulare in mano e scorre di qua e di là. “Bello!” commenta con un sorriso idiota.
Non ne ha mai visto uno? Somiglia un po’ troppo al fratellino di Katia ogni volta che riesce a metterci sopra le mani.
Altro che magia. Possibile che ci abbia creduto sul serio?
Non ce la faccio più ad aspettare. “Allora?”
“Non posso farci niente.”
“E come mai? Il consiglio dei geni ti ha tolto i tuoi poteri per cattiva condotta?”
Devo mantenermi calma. Devo.
“Semplicemente, il tuo desiderio non ha senso. Non ti si è cancellata nessuna chiamata.”
“Cosa?” Questo è troppo. “Io so benissimo che c’erano. L’ho chiamato fino a consumarmi i polpastrelli!”
“Chi?”
Ci rinuncio. Una cosa assurda alla volta è più che sufficiente. Gli prendo il cellulare e faccio il numero a mano.
Il numero selezionato è inesistente, mi avverte una voce.
Ha anche disattivato la sim?
No. Non so come mai, ma non ce lo vedo. Non è mai stato tipo da trame machiavelliche. Non si disturba a premeditare nemmeno i tradimenti – troppa fatica.
È molto più probabile che sia stato il mio cellulare a perdere il lume della ragione.
Riprovo col telefono fisso. Vediamo se ha anche tagliato i fili, pur di non sentirmi.
Attenzione. Il numero selezionato è inesistente.
Che sta succedendo?
Mi giro verso Alis e lo guardo fisso.
“Perché continui a chiamare numeri inesistenti, padrona?” chiede, sempre con lo stesso sorrisetto.
“Sto chiamando Max, accidenti.”
“E chi sarebbe?”
“Max! Quello con cui parlavo fino a cinque minuti fa, no?”
“Ma se non ti ho visto parlare con nessuno.”
“Problemi tuoi. Io ci ho parlato. E intendo parlarci di nuovo, dovesse essere l’ultima cosa che farò.”
Ridacchia. “Che parole grosse!”
“Senti, o mi aiuti o te ne vai fuori di qui adesso.”
“Non posso. Nessuna delle due cose.”
“Come? Vuoi che butti la tua deliziosa casetta nel contenitore per la raccolta delle lattine?”
“Sono un genio, ma non sono mica onnipotente.”
“Che vorresti dire?”
“Non posso far comparire un tizio dal nulla – almeno se non so come dovrebbe essere in ogni dettaglio. Quindi non posso farti parlare con persone inesistenti.”
“Come ‘inesistenti’? Non eri lì a guardarmi mentre litigavo con lui?”
“Ti ripeto: tu non hai parlato con nessuno. Hai fatto un paio di numeri a vuoto, per quello che ho potuto vedere.”
Non vale la pena di continuare. Cos’è, tutta una congiura per farmi credere di essere pronta per la camicia di forza?
Non darò questa soddisfazione a nessuno.
Meglio che mi calmi sul serio. Faccio un respiro profondo e chiudo gli occhi.
Suona il campanello.
Mi precipito alla porta.
Alis mi sbarra la strada. “Aspetta. Vuoi che scompaia o che sia visibile?”
“Non me ne importa niente. Fai tu”. Gli giro intorno.
Alis mi precede e apre la porta.
È Katia.
“Ci dev’essere una bella corrente d’aria.” dice. “La tua porta si è aperta da sola, hai visto? Non l’avevi chiusa?”
“Ti assicuro che è l’ultimo dei miei problemi, al momento.”
Mi guarda fisso. “Ma che ti succede, Barbie? Hai una faccia… come se ti fosse passata la morte accanto.”
“Non ci sei andata tanto lontana. Non puoi nemmeno immaginare quello che mi è successo.”
Mi guida verso il divano e si siede accanto a me. Mi mette un braccio attorno alle spalle.
“Sono qui. Racconta.”
“Tanto per cominciare, Max sembra sparito.”
Katia si gira per guardarmi in faccia. “Chi, scusa?”